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I pericoli dello sversamento delle acque radioattive
Il 17 marzo scorso, a dodici anni dal drammatico incidente all'impianto nucleare di Dai-ichi, il governo giapponese ha attivato le apparecchiature specializzate per lo sversamento nell'Oceano Pacifico delle acque reflue radioattive accumulate, malgrado le forti proteste sia in patria che all'estero. In tutto, entro quest'anno, è previsto il rilascio in mare di 1,3 milioni di tonnellate di acque contaminate.
Sin dal primo annuncio delle intenzioni di Tokyo, nell'aprile 2021, Pechino è stata tra i primi ad opporsi, facendo sentire la sua voce a livello internazionale, seguita da molti altri governi della regione Asia-Pacifico, che stanno cercando di sensibilizzare l'intera comunità internazionale anche a fronte dei tentennamenti e delle ritrosie del G7 a sostenere il piano giapponese.
Secondo Shaun Burnie, specialista nucleare anziano di Greenpeace East Asia, "il governo giapponese è alla disperata ricerca di un sostegno internazionale per i suoi piani di sversamento delle acque radioattive nell'Oceano Pacifico, ha fallito l'obiettivo di proteggere i propri cittadini, comprese le vulnerabili comunità di pescatori di Fukushima, così come le nazioni della vasta regione Asia-Pacifico", "non è riuscito a studiare a fondo gli effetti del rilascio di numerosi radionuclidi sulla vita marina" ed "i suoi piani rappresentano una violazione della Convenzione ONU sul Diritto del Mare".
Stando all'esperto Luo Qingping, dell'Istituto Nazionale Cinese per la Strategia Industriale Nucleare, le acque reflue contaminate dell'impianto di Fukushima-Dai-ichi sono state direttamente esposte al nocciolo del reattore, e contengono dunque ingenti quantitativi di oltre 60 elementi radioattivi, tra cui il trizio. "Quando il trizio entra nell'organismo, è pericoloso almeno tanto quanto qualsiasi altro radionuclide", ha spiegato poche settimane fa Timothy Mousseau, docente di scienze biologiche presso l'Università della Carolina del Sud, durante una conferenza stampa a Seoul, proseguendo: "In alcuni casi è pericoloso più del doppio in termini di effetti delle radiazioni sul materiale genetico, sulle proteine".
Tokyo, insomma, starebbe gravemente peccando in superficialità. "Il Giappone non ha condotto test accurati e complessivi per tali elementi che, se l'acqua contaminata sarà scaricata nell'Oceano Pacifico, si accumuleranno nell'organismo degli animali marini che vivono nelle acque costiere del Giappone, producendo un impatto sul resto del mondo attraverso le correnti oceaniche, le catene alimentari e il commercio di prodotti ittici", ha affermato a marzo lo stesso Luo ai microfoni di CGTN.
Certamente l'esposizione esterna al trizio, che emette particelle beta a bassa energia, è incapace di penetrare il corpo umano perché queste vengono fermate semplicemente dal vestiario indossato, come indicano il governo giapponese e l'affidatario dello smantellamento di Fukushima, cioè la Tokyo Electric Power Company (TEPCO). Tuttavia, nel momento in cui il trizio viene ingerito in quantità consistenti, ad esempio attraverso il consumo di prodotti ittici contaminati, la radiazione ionizzante "danneggerebbe direttamente il DNA oppure colpirebbe indirettamente altre attività metaboliche tramite stress ossidativo o uno squilibrio organico che può portare al danneggiamento di cellule e tessuti", ha sostenuto ancora il Prof. Mousseau.
Il 26 aprile scorso, la portavoce del Ministero degli Esteri cinese Mao Ning ha reiterato con urgenza l'appello al vicino di trattare in modo appropriato le questioni relative alla dismissione dell'impianto di Fukushima. "A giudicare dalla situazione attuale, ci sono preoccupanti fattori di incertezza e rischi di sicurezza a proposito dello smantellamento delle strutture nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi", ha sottolineato Mao, che ha aggiunto: "è stato provato che la base del recipiente a pressione del reattore dell'Unità 1 è gravemente danneggiato, con il rischio che tale recipiente possa collassare. Se mal gestito o non trattato in tempo, il problema potrebbe aggravare l'impatto ambientale ed aggiungersi al volume di radionuclidi presenti nelle acque contaminate".
(L'autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia)
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